Cultura

Ernesto Olivero: “Nell’agenda del G8 l’emergenza dei giovani”

Il fondatore del Sermig racconta le sue perplessità ad aderire al raduno delle associazioni cattoliche.

di Gabriella Meroni

Ernesto Olivero non ci andrà, a protestare contro il G8. Sarà al raduno Cei del 7, ma solo perché l?ha invitato personalmente il cardinale Dionigi Tettamanzi. Non per superbia, ma perché alle sue orecchie di cattolico impegnato nelle missioni lontane e in quella vicina del suo quartiere di Torino, dove ogni notte accoglie centinaia di immigrati, i nuovissimi temi della globalizzazione suonano consueti, familiari. Stoffa di un lavoro vecchio, tessuto trent?anni fa e non ancora finito. Vecchio come la protesta del popolo di Seattle, che per lui arriva in ritardo su tutto. Ed è anche un po? miope, perché considera «solo un lato del problema» e si oppone «perché non ha più speranza». Alla povertà, al debito, allo sviluppo Olivero pensa da sempre. Più volte candidato al Nobel per la pace, con la sua associazione aiuta un milione di persone l?anno. Per questo è molto ascoltato, non solo dai poveri ma anche dai ricchi. Come la famiglia Agnelli, o un irriducibile laico come Norberto Bobbio. O ancora Massimo D?Alema e Silvio Berlusconi, che in tempi diversi, ma sempre da presidenti del Consiglio, hanno sentito il bisogno di incontrarsi con lui. È accaduto anche negli ultimi giorni, quando per ben due volte il nome di Olivero è stato scritto nell?agenda degli appuntamenti di Palazzo Chigi. Cos?era, un tentativo di mediazione in vista della protesta anti G8? «No, no», risponde Olivero. «A Berlusconi, come a tutti gli altri potenti che ho incontrato, ho ripetuto l?unica, grande preoccupazione che dovrebbero avere: quella dei giovani». I giovani: Olivero ripete questa parola quasi ossessivamente. I giovani e l?invisibile significato del vivere, i giovani e la paura di amare, i giovani e la fiducia che non c?è più: questa l?idea fissa, la vera emergenza che sovrasta tutte le altre e vale più di mille G8. «Nessuno mi deve spiegare che cos?è la povertà, o il debito», chiarisce.«È dal ?68 che cercano di convincermi a identificare un nemico, e a combatterlo a testa bassa, senza vedere nient?altro. È quello che sta accadendo col G8: loro sono i cattivi, noi i buoni. E intanto nessuno ha voglia di affrontare il problema dei giovani, che è il più reale». Inevitabile andare con il pensiero alle piazze che si infiammano per la protesta contro gli otto Grandi: ci sono un sacco di ragazzi. Non è una specie di confuso desiderio di giustizia, il loro? «Li guardi bene: molti non sono più giovanissimi, perché i ragazzini non ci vanno nemmeno, in piazza», dice Olivero. «Ma a parte questo, la violenza che esprimono, il loro rifiuto del dialogo è segno del fatto che in fondo non hanno speranza. E nemmeno fiducia. Per questo io dico che sono più poveri dei poveri». Olivero cita una ricerca che ha svolto nelle sue tante comunità sparse per il mondo: il 98% dei 300mila giovani intervistati dice che ha paura, che non crede più a niente. «Sono dati impressionanti, davanti ai quali anche la Chiesa dovrebbe interrogarsi. Perché i cardinali non fanno un concilio su questi temi? Perché nessuno si chiede come mai i giovani non vanno in Chiesa? Eppure Cristo ha detto una parola di vita anche per loro!». Forse qualcuno è confuso. La Chiesa, ad esempio, sulla globalizzazione è divisa. C?è chi è fieramente contro, ci sono i preti in prima linea, c?è un?ala che si chiama fuori. Che ne dice? «Nella Chiesa c?è chi conosce di più e chi meno il fenomeno, quindi ci sono posizioni diverse. È normale. Anzi, è un bene. La globalizzazione però chiede ai cristiani di essere più coerenti, in modo che se un nostro fratello vuole uscire da un giro immondo lo possa fare in qualunque momento, attraverso di noi». È più facile cambiare le cose a partire da casa propria che dal tetto del mondo? Probabilmente sì. Per questo per Olivero il problema non è neppure G8 sì o G8 no. «Non sono bastati milioni di morti per fame, malattie e migrazioni di popoli per far capire ai governi che bisognava cambiare politica», afferma. «Non credo che le proteste di piazza li smuoveranno. Anzi, un domani faranno una bella teleconferenza, sarà tutto finito. Ma se non si farà qualcosa per la disperazione dei giovani, che sono le figlie di Bush come i figli degli operai, credetemi, non cambierà mai niente».


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